[MDV] Maratona di Visione - Rassegna Online di Videoarte
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Con l’impegno e il sostegno del Comune di Bergamo , Bergamo Smart City and Community e con la direzione artistica di Alberto Ceresoli, inaugura la terza edizione di Rassegna Online di Videoarte. Il progetto mira a promuovere la ricerca video contemporanea attraverso la costruzione di un dispositivo capace di accogliere la produzione audiovisiva rendendola fruibile gratuitamente attraverso una piattaforma web dedicata e attraverso la curatela di screening video ospitati all’interno delle diverse sedi, contenitori per l’Arte Contemporanea che operano attivamente sul territorio di Bergamo, Milano, Varese, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Catanzaro. Le difficoltà e gli arresti causati dal Covid-19, hanno portato l’organizzazione a riflettere sull’importanza di pensare a nuove strategie di produzione e fruizione, che coniugando spazio fisico e spazio digitale possano garantire continuità di ricerca ad artisti e operatori. L’esperienza delle edizioni 2019/2020 permette all’organizzazione di pensare alla piattaforma web che ospita l’online group exhibition, come a uno strumento capace di dilatare e potenziare i tempi di fruizione, agevolando l’approfondimento, l’assimilazione e metabolizzazione dei contenuti visivi a favore di una risposta critica degli stessi. L’architettura del progetto, edificandosi su un territorio liminale tra spazio fisico e virtuale, dando valore al rapporto locale/globale, vuole configurarsi come un modello capace di promuovere la cultura digitale e di rispondere alle esigenze del nostro tempo. 50 artisti con background e percorsi di ricerca riconosciuti internazionalmente sono stati chiamati per dare corpo alla piattaforma che da Marzo a Luglio 2021 ospiterà le 50 opere video selezionate.

 

La 3° edizione di Rassegna Online di Videoarte è stata costruita grazie alle collaborazioni e all’importante lavoro co-curatoriale di:

 

Museo Bernareggi (Bergamo)
Traffic Gallery (Bergamo) nell’impegno di Roberto Ratti
Spazio Volta (Bergamo) nell’impegno di Edoardo Decobelli
Superstudiolo (Bergamo) nell’impegno di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco
PHROOM (Milano) nell’impegno di Matteo Cremonesi e Giangiacomo Cirla
Presa Multipla (Milano) nell’impegno di Francesca Greco
Anonima Kunsthalle (Varese) nell’impegno di Clara Scola
Tank Serbatoio Culturale (Bologna) nell’impegno di Mariolina Catani
Officina 15 (#ArtOFF – Arte Contemporanea in Appennino / Castiglione dei Pepoli, BO) nell’impegno di Federica Fiumelli
Virginia Bianchi Gallery (Bologna) nell’impegno di Virginia Bianchi
Osservatorio Futura (Torino) nell’impegno di Anna Casartelli, Francesca Disconzi, Federico Palumbo
Suburbia Contemporary (Firenze) nell’impegno di Francesco Ozzola
Shazar gallery (Napoli) nell’impegno di Valentina Muzi
In-Ruins (Catanzaro) nell’impegno di Maria Luigia Gioffrè, Nicola Guastamacchia, Nicola Nitido, Dobroslawa Nowak

 

Artisti: Flavia Albu | Sonia Andresano | Oreste Baccolini | Giovanni Battimiello | Aurora Bertoli | Sofia Braga | Barbara Brugola | Alice Bucknell | Simone Cametti | Mara Oscar Cassiani | Roberto Casti | Elizabeth Charnock | Sara Davide | Cristina De Paola | Stine Deja | Cecilia Del Gatto | Sian Fan | Guildor | Maria Luigia Gioffrè | Jakub Gliński | Łukasz Horbów | Giacomo Infantino – Francesca Ruberto | Jacopo Jenna | Kamilia Kard | Davide Mari | Corinne Mazzoli | Matteo Messina | Alessandro Moroni | Federica Murittu | Mabel Palacín | Natalie Paneng | Elisa Giardina Papa | Simona Pavoni | Robert Pettena | Ania Plonka | Léa Porré | Teresa Prati | Jacopo Rinaldi | Filippo Riniolo | Paola Risoli | Stefano Romano | Giovanni Sambo | Matilde Sambo | Kgotlelelo Sekiti | Luca Staccioli | Flavia Tritto | Jacob van Schalkwyk | Caterina Erica Shanta | Anna Vezzosi | Luca Vianello.

 

Grafica e Web Design: Woodoo Studio

ASMR for earthly survival

Sofia Braga, Matthias Pitscher, Fabricio Lamoncha (Collettivo Post-Bio-Internet)
10’00” 2020

 

Selected by Anna Casartelli, Federico Palumbo, Francesca Disconzi (Osservatorio Futura, Torino)

Voci soavi e suoni rilassanti condurranno il pubblico in un viaggio audiovisivo sensoriale attraverso un distopico futuro prossimo. Il lavoro si basa sull’esplorazione di paure e tribolazioni intime legate alle attuali narrazioni sul cambiamento climatico, rappresentate attraverso l’implementazione dei metodi sperimentali ASMR presentati durante il workshop “ASMR for earthly survival” tenuto dal collettivo. “ASMR for earthly survival” esplora il potenziale dell’ASMR (Autonomous Sensory Meridian Response) come strumento per la creazione di intime narrazioni fantascientifiche.

Il Collettivo Post-Bio-Internet esplora ambienti naturali e virtuali attraverso azioni partecipative, indagando l’influenza dei fenomeni online e dei loro sistemi di rappresentazione nella percezione della nostra realtà fisica. Questa nuova soggettività collettiva virtuale ci offre nuove possibilità poiché promuove l’idea che oggi – come Joseph Beuys aveva previsto – tutti sono artisti, assegnando così un nuovo ruolo alle immagini condivise e a chi le produce. Il Collettivo Post-Bio-Internet abbraccia il potenziale creativo della cultura online come fonte di materiali per la creazione di nuove cartografie della soggettività da cui si affermeranno nuovi valori.

Voci soavi e suoni rilassanti condurranno il pubblico in un viaggio audiovisivo sensoriale attraverso un distopico futuro prossimo. Il lavoro si basa sull’esplorazione di paure e tribolazioni intime legate alle attuali narrazioni sul cambiamento climatico, rappresentate attraverso l’implementazione dei metodi sperimentali ASMR presentati durante il workshop “ASMR for earthly survival” tenuto dal collettivo. “ASMR for earthly survival” esplora il potenziale dell’ASMR (Autonomous Sensory Meridian Response) come strumento per la creazione di intime narrazioni fantascientifiche.

Il Collettivo Post-Bio-Internet esplora ambienti naturali e virtuali attraverso azioni partecipative, indagando l’influenza dei fenomeni online e dei loro sistemi di rappresentazione nella percezione della nostra realtà fisica. Questa nuova soggettività collettiva virtuale ci offre nuove possibilità poiché promuove l’idea che oggi – come Joseph Beuys aveva previsto – tutti sono artisti, assegnando così un nuovo ruolo alle immagini condivise e a chi le produce. Il Collettivo Post-Bio-Internet abbraccia il potenziale creativo della cultura online come fonte di materiali per la creazione di nuove cartografie della soggettività da cui si affermeranno nuovi valori.

Was it me? Screen memories

Luca Staccioli
08’06” 2017

 

Selected by Anna Casartelli, Federico Palumbo, Francesca Disconzi (Osservatorio Futura, Torino)

Un viaggio voyeuristico attraverso posti sconosciuti e memorie familiari. Fatto di immagini digitali, oggetti quotidiani e souvenirs, sfugge nell’apparente annullamento delle distanze geografiche ed esistenziali, nei processi di accelerazione sociale e nello sviluppo tecnologico. L’opera si compone di video e foto trovate su piattaforme di condivisione e social network, che, insieme a immagini storiche d’archivio presenti su internet, creano lo sfondo della narrazione. Le immagini, sia amatoriali che ufficiali, sono ri-filmate dallo schermo, spazio dove sembrano catturate. Creano un paesaggio discontinuo fatto di rimandi visivi e concettuali che declinano il tema del viaggio (fisico e virtuale) in molteplici sensi. Si crea dunque un dialogo con i souvenirs in primo piano. Scrivendo sulla superficie degli oggetti, emergono domande sulla creazione dell’alterità, sulle eredità del colonialismo, il ruolo delle immagini nelle narrazioni culturali, sull’esotismo intrinseco nell’idea di viaggio e di turismo di massa: l’identità e il luogo come dubbio.

Un viaggio voyeuristico attraverso posti sconosciuti e memorie familiari. Fatto di immagini digitali, oggetti quotidiani e souvenirs, sfugge nell’apparente annullamento delle distanze geografiche ed esistenziali, nei processi di accelerazione sociale e nello sviluppo tecnologico. L’opera si compone di video e foto trovate su piattaforme di condivisione e social network, che, insieme a immagini storiche d’archivio presenti su internet, creano lo sfondo della narrazione. Le immagini, sia amatoriali che ufficiali, sono ri-filmate dallo schermo, spazio dove sembrano catturate. Creano un paesaggio discontinuo fatto di rimandi visivi e concettuali che declinano il tema del viaggio (fisico e virtuale) in molteplici sensi. Si crea dunque un dialogo con i souvenirs in primo piano. Scrivendo sulla superficie degli oggetti, emergono domande sulla creazione dell’alterità, sulle eredità del colonialismo, il ruolo delle immagini nelle narrazioni culturali, sull’esotismo intrinseco nell’idea di viaggio e di turismo di massa: l’identità e il luogo come dubbio.

The Series – The Beginning

Roberto Casti
16’03” 2018

 

Selected by Anna Casartelli, Federico Palumbo, Francesca Disconzi (Osservatorio Futura, Torino)

The Beginning è la puntata pilota di una serie progettata dall’artista e presentata per la prima volta alla chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Napoli in occasione della sua mostra personale Introitus (Parte del Tutto), curata da Bite The Saurus (Enzo Di Marino e Dalia Maini). La serie ricalca i codici linguistici propri del format televisivo seriale e ripercorre, attraverso una meta-narrazione, la creazione e la storia del linguaggio umano. Nella prima puntata un narratore affronta il tema dell’origine dell’universo. Le immagini caratterizzate da componenti home-made – rappresentazioni infantili ma anche esperimenti casalinghi – portano il fruitore a mettere in discussione il linguaggio umano e la sua aderenza con la realtà.

The Beginning è la puntata pilota di una serie progettata dall’artista e presentata per la prima volta alla chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Napoli in occasione della sua mostra personale Introitus (Parte del Tutto), curata da Bite The Saurus (Enzo Di Marino e Dalia Maini). La serie ricalca i codici linguistici propri del format televisivo seriale e ripercorre, attraverso una meta-narrazione, la creazione e la storia del linguaggio umano. Nella prima puntata un narratore affronta il tema dell’origine dell’universo. Le immagini caratterizzate da componenti home-made – rappresentazioni infantili ma anche esperimenti casalinghi – portano il fruitore a mettere in discussione il linguaggio umano e la sua aderenza con la realtà.

23.500 Times

Giacomo Infantino, Francesca Ruberto
06’56” 2020

 

Selected by Anna Casartelli, Federico Palumbo, Francesca Disconzi (Osservatorio Futura, Torino)

Editing: Giacomo Infantino – Francesca Ruberto
Light Design: Lorenzo Ronchi
Photography: Giacomo Infantino
Scenography: Giacomo Infantino
Sound Design: Francesca Ruberto

23.500 sono i tempi necessari affinché un’immagine di un materiale inerte ingrandita al microscopio, come l’argilla, assuma l’aspetto di un paesaggio finto, arcaico e primordiale. Il lavoro di Giacomo Infantino e Francesca Ruberto fonde insieme video, scultura e suono, e concepisce un’esperienza immersiva e introspettiva attraverso una dimensione onirica. Il video indaga lo stato della crisi ambientale odierna attraverso un metalinguaggio metaforico, proiettato nel tempo e nello spazio di eventi paradossali che oscillano tra la nascita di qualcosa e la morte di qualcos’altro. Lo stato di pandemia globale e il conseguente blocco pongono la necessità di riscoprire quel legame transitorio e inconscio di una dimensione al confine tra l’arcaico e il futuro, tra l’incerto e l’eterno, tra l’uomo e la natura. Attraverso la scultura e la mimetica delle immagini avviene la creazioone di un nuovo paesaggio, non necessariamente esperibile e associabile alla realtà oggettiva, ma capace di suggerire nuovi quesiti su cosa significhi oggi coesistere.

23.500 sono i tempi necessari affinché un’immagine di un materiale inerte ingrandita al microscopio, come l’argilla, assuma l’aspetto di un paesaggio finto, arcaico e primordiale. Il lavoro di Giacomo Infantino e Francesca Ruberto fonde insieme video, scultura e suono, e concepisce un’esperienza immersiva e introspettiva attraverso una dimensione onirica. Il video indaga lo stato della crisi ambientale odierna attraverso un metalinguaggio metaforico, proiettato nel tempo e nello spazio di eventi paradossali che oscillano tra la nascita di qualcosa e la morte di qualcos’altro. Lo stato di pandemia globale e il conseguente blocco pongono la necessità di riscoprire quel legame transitorio e inconscio di una dimensione al confine tra l’arcaico e il futuro, tra l’incerto e l’eterno, tra l’uomo e la natura. Attraverso la scultura e la mimetica delle immagini avviene la creazioone di un nuovo paesaggio, non necessariamente esperibile e associabile alla realtà oggettiva, ma capace di suggerire nuovi quesiti su cosa significhi oggi coesistere.

“Vita come saliente avidità – cura”

Matilde Sambo
10’28” 2020

 

Selected by Anna Casartelli, Federico Palumbo, Francesca Disconzi (Osservatorio Futura, Torino)

Portare a sé il corpo dell’altro, vestirsi e prendersi carico delle tracce del tempo, del movimento, degli incontri e degli scontri che inesorabili modificano la materia. Armature in cera che, con semplici gesti, vengono rigenerate, curate e reindossate durante la performance “Vita come saliente avidità – cura”. Il video è una documentazione ibrida, in slow motion, della performance presentata in occasione del Festival Ex Machina, a Scicli, all’interno dell’Ex Convento del Carmine, evento organizzato dalla realtà indipendente Site Specific e dalla galleria aA29 Project Room, a settembre 2020.

Portare a sé il corpo dell’altro, vestirsi e prendersi carico delle tracce del tempo, del movimento, degli incontri e degli scontri che inesorabili modificano la materia. Armature in cera che, con semplici gesti, vengono rigenerate, curate e reindossate durante la performance “Vita come saliente avidità – cura”. Il video è una documentazione ibrida, in slow motion, della performance presentata in occasione del Festival Ex Machina, a Scicli, all’interno dell’Ex Convento del Carmine, evento organizzato dalla realtà indipendente Site Specific e dalla galleria aA29 Project Room, a settembre 2020.

Looking At Myself Sincerely Length

Natalie Paneng
01’05” 2020

 

Selected by Francesco Ozzola, (Suburbia Contemporary, Firenze)

In questo video la protagonista Natalie Paneng utilizza un ambiente naturale ed i suoi elementi per amplificare i suoi lineamenti e guardarsi.

In questo video la protagonista Natalie Paneng utilizza un ambiente naturale ed i suoi elementi per amplificare i suoi lineamenti e guardarsi.

Missing Link

Mabel Palacín
17’30” 2017

 

Selected by Francesco Ozzola, (Suburbia Contemporary, Firenze)

TUTTI SIAMO IMMAGINE

Intrappolate all’interno di superfici e schermi le cose e le persone sono uguali, immagini.

Ci osserviamo attraverso le macchine fotografiche più che negli specchi e ci ritroviamo in versioni moltiplicate.

Le immagini sono tutto, tutte le cose e tutte le situazioni.

Le fotografie e il cinema ci hanno insegnato situazioni particolari e modelli di vita, però ciò che resta di vitale nel cinema si trova sui margini.

Ora siamo versioni, gli uni e le altre, di immagini che sono versioni di noi, senza raggiungere nessuna simmetria.

La nostra possibilità di intervento sembra minima, però è ancora possibile agire, scappare dagli schermi, o infiltraci in essi.

Per farlo dobbiamo abbandonare la condizione di spettatori. Ora siamo tutti attori per altri attori, senza nessuno spettatore.

Senza che nessuno ci osservi, aspettiamo nell’ombra, attendendo una connessione, un vincolo, un destinatario, uno solo, che serva da collegamento per moltiplicare, qui e là, l’inatteso.

Se le immagini stanno ovunque dobbiamo muoverci con esse, tra di esse, occupare spazi intermedi.

Né qui, né lì c’è posto per noi, per questo ci muoviamo come le immagini.
Da loro impariamo quello che vogliono insegnarci e scopriamo un eccesso di informazione che non si lascia ridurre, tutto quello che sembra restare e che si infilò tra le immagini, travolgendo le prime intenzioni, quello che sembra fuorilegge,quello che non hai visto quando ti dissero guarda¡.

Il mondo è accidentale, una contingenza, l’incontro unico di elementi e avvenimenti nello spazio-tempo moltiplicato.

Prendiamo le immagini come il luogo delle infinite possibilità e con un gesto distruttivo vogliamo portare al centro la precarietà che le agita.

Non esistono immagini senza azione e tutto ciò che facciamo esiste perché la macchina fotografica registra le nostre azioni. Ora tutti hanno una videocamera in tasca ed è necessario usarla, recitare. Vogliamo intervenire e muovere noi le videocamere.

Per questo stabiliamo il seguente protocollo:

1.L’attore e l’autore saranno la stessa persona, di modo che nessuno ignori i segreti della videocamera né i rischi di recitare.

2.La videocamera sarà una parte inseparabile del nostro corpo,come una protesi. La videocamera è il nostro corpo. Respira e cammina con noi, sale, scende… con noi. È intima, pubblica, quotidiana… Va dove andiamo noi e noi andiamo verso le cose.

3.Non registreremo nulla più in là della distanza del nostro braccio, per registrare dobbiamo avvicinarci alle cose, toccarle.

4.Rivendichiamo l’uso dei 25mm.

5.Noi siamo in scena, siamo la scena. Ci muoviamo in essa guardando la videocamera e non l’obiettivo.

6.Occupiamo l’inquadratura di un immagine sempre incompleta. Ci situiamo nell’inquadratura per contattare con altri attori, in altre inquadrature, in altri mondi, alleati senza saperlo nella possibilità aleatoria del significato.

7.Cerchiamo nelle immagini il potenziale narrativo dell’eccesso, quello che non si trova nelle mappe né nei tracciati determinati.

8.Imprimiamo in esse la nostra forma per deviarle dai loro obiettivi, per confondere i loro propositi…

9.Adottiamo una forma in transizione che risvegli il fantasma di un’altra immagine all’interno delle immagini.

10.Se le immagini si moltiplicano le azioni dovranno moltiplicarsi con noi.

11.Se le immagini si ripetono ogni azione dovrà ripetersi più di una volta.

TUTTI SIAMO IMMAGINE

Intrappolate all’interno di superfici e schermi le cose e le persone sono uguali, immagini.

Ci osserviamo attraverso le macchine fotografiche più che negli specchi e ci ritroviamo in versioni moltiplicate.

Le immagini sono tutto, tutte le cose e tutte le situazioni.

Le fotografie e il cinema ci hanno insegnato situazioni particolari e modelli di vita, però ciò che resta di vitale nel cinema si trova sui margini.

Ora siamo versioni, gli uni e le altre, di immagini che sono versioni di noi, senza raggiungere nessuna simmetria.

La nostra possibilità di intervento sembra minima, però è ancora possibile agire, scappare dagli schermi, o infiltraci in essi.

Per farlo dobbiamo abbandonare la condizione di spettatori. Ora siamo tutti attori per altri attori, senza nessuno spettatore.

Senza che nessuno ci osservi, aspettiamo nell’ombra, attendendo una connessione, un vincolo, un destinatario, uno solo, che serva da collegamento per moltiplicare, qui e là, l’inatteso.

Se le immagini stanno ovunque dobbiamo muoverci con esse, tra di esse, occupare spazi intermedi.

Né qui, né lì c’è posto per noi, per questo ci muoviamo come le immagini.
Da loro impariamo quello che vogliono insegnarci e scopriamo un eccesso di informazione che non si lascia ridurre, tutto quello che sembra restare e che si infilò tra le immagini, travolgendo le prime intenzioni, quello che sembra fuorilegge,quello che non hai visto quando ti dissero guarda¡.

Il mondo è accidentale, una contingenza, l’incontro unico di elementi e avvenimenti nello spazio-tempo moltiplicato.

Prendiamo le immagini come il luogo delle infinite possibilità e con un gesto distruttivo vogliamo portare al centro la precarietà che le agita.

Non esistono immagini senza azione e tutto ciò che facciamo esiste perché la macchina fotografica registra le nostre azioni. Ora tutti hanno una videocamera in tasca ed è necessario usarla, recitare. Vogliamo intervenire e muovere noi le videocamere.

Per questo stabiliamo il seguente protocollo:

1.L’attore e l’autore saranno la stessa persona, di modo che nessuno ignori i segreti della videocamera né i rischi di recitare.

2.La videocamera sarà una parte inseparabile del nostro corpo,come una protesi. La videocamera è il nostro corpo. Respira e cammina con noi, sale, scende… con noi. È intima, pubblica, quotidiana… Va dove andiamo noi e noi andiamo verso le cose.

3.Non registreremo nulla più in là della distanza del nostro braccio, per registrare dobbiamo avvicinarci alle cose, toccarle.

4.Rivendichiamo l’uso dei 25mm.

5.Noi siamo in scena, siamo la scena. Ci muoviamo in essa guardando la videocamera e non l’obiettivo.

6.Occupiamo l’inquadratura di un immagine sempre incompleta. Ci situiamo nell’inquadratura per contattare con altri attori, in altre inquadrature, in altri mondi, alleati senza saperlo nella possibilità aleatoria del significato.

7.Cerchiamo nelle immagini il potenziale narrativo dell’eccesso, quello che non si trova nelle mappe né nei tracciati determinati.

8.Imprimiamo in esse la nostra forma per deviarle dai loro obiettivi, per confondere i loro propositi…

9.Adottiamo una forma in transizione che risvegli il fantasma di un’altra immagine all’interno delle immagini.

10.Se le immagini si moltiplicano le azioni dovranno moltiplicarsi con noi.

11.Se le immagini si ripetono ogni azione dovrà ripetersi più di una volta.

Interlude

Kgotlelelo Sekiti
01’35” 2020

 

Selected by Francesco Ozzola, (Suburbia Contemporary, Firenze)

Come parte della serie Three Balloons, Interlude esplora il trauma generazionale del corpo nero e il trauma vissuto quotidianamente da corpi neri queer. Interlude è un abbraccio alle tradizioni della famiglia Sekiti, ambientato nel Limpopo.

Vivo in città e non sempre ho il lusso di andare in “vacanza”, tuttavia negli ultimi anni la mia percezione di cosa sia una vacanza è stata offuscata dal concetto occidentale di vacanza. Crescendo, andare al luogo di origine di mia madre era il luogo in cui scappavamo o meglio andavamo in “vacanza”.

 

Come parte della serie Three Balloons, Interlude esplora il trauma generazionale del corpo nero e il trauma vissuto quotidianamente da corpi neri queer. Interlude è un abbraccio alle tradizioni della famiglia Sekiti, ambientato nel Limpopo.

Vivo in città e non sempre ho il lusso di andare in “vacanza”, tuttavia negli ultimi anni la mia percezione di cosa sia una vacanza è stata offuscata dal concetto occidentale di vacanza. Crescendo, andare al luogo di origine di mia madre era il luogo in cui scappavamo o meglio andavamo in “vacanza”.

Moon Games

Robert Pettena
03’07” 2012-2020

 

Selected by Francesco Ozzola, (Suburbia Contemporary, Firenze)

Robert Pettena, sempre consapevole della continua trasformazione della vita sociale, ha portato alla luce la discrepanza tra le nostre diverse aspirazioni, i nostri bisogni opposti e contraddizioni. Ma ha detto che non c’era bisogno di risolvere o rimuovere questa complessità. Al suo interno c’era una ricchezza che potevamo assecondare e soddisfare.

Robert Pettena, sempre consapevole della continua trasformazione della vita sociale, ha portato alla luce la discrepanza tra le nostre diverse aspirazioni, i nostri bisogni opposti e contraddizioni. Ma ha detto che non c’era bisogno di risolvere o rimuovere questa complessità. Al suo interno c’era una ricchezza che potevamo assecondare e soddisfare.

After Wegman

Jacob van Schalkwyk
03’03” 2013

 

Selected by Francesco Ozzola, (Suburbia Contemporary, Firenze)

Nella sua interpretazione del 2013 dell’opera video “Milk / Floor” (William Wegman, 1971), Jacob van Schalkwyk unifica il ruolo dell’artista a quello del suo cane. Il risultato è allo stesso tempo divertente, confuso e difficile da guardare. Incredibilmente semplice nella sua esecuzione e presentazione, “After Wegman” interroga direttamente il carattere dell’artista oggi.

Nella sua interpretazione del 2013 dell’opera video “Milk / Floor” (William Wegman, 1971), Jacob van Schalkwyk unifica il ruolo dell’artista a quello del suo cane. Il risultato è allo stesso tempo divertente, confuso e difficile da guardare. Incredibilmente semplice nella sua esecuzione e presentazione, “After Wegman” interroga direttamente il carattere dell’artista oggi.

ROSES, internet Abduction

Mara Oscar Cassiani
primo studio da: LA FAUNA 2K20
29’00” 2020

 

Selected by Mariolina Catani (Tank Serbatorio Culturale, Bologna)

Performing acts: Lisen Pousette, Veronica Guerra, Leonardo Schifino, Klara Utke Acs, Carlo Santolini, Mara Oscar Cassiani. Face Filter: Compulsive Love by Kamilia Kard Original
Track by: Arturo Camerlengo Music Remix: M.O.C meme Music: anonymous users Render and stream project: Mara Oscar Cassiani
Production: Motus, Elisa Bartolucci
Supported by: RomaEuropa Festival, Digitalive cura by Federica Patti for celebrating the net and its multiple identities

Nel passaggio tra un utente e l’altro, come in un macro organismo, i linguaggi e i data diventano eterni remix di una stessa informazione. In un eterno Abduction dello user. Allo stesso modo potremmo ballare all’infinito sullo stesso loop per giorni inseguendo un hashtag di rito su TikTok.

Nel passaggio tra un utente e l’altro, come in un macro organismo, i linguaggi e i data diventano eterni remix di una stessa informazione. In un eterno Abduction dello user. Allo stesso modo potremmo ballare all’infinito sullo stesso loop per giorni inseguendo un hashtag di rito su TikTok.

Labor of Sleep, Have you been able to change your habits??

Elisa Giardina Papa
09’19” 2017

 

Selected by Mariolina Catani, (Tank Serbatorio Culturale, Bologna)

Commissionato dal Whitney Museum of American Art

Labor of Sleep, Have you been able to change your habits?? è un’opera video dedicata al tema del sonno e della cura del sé. Originariamente commissionata dal Whitney Museum of American Art, l’opera fa ironicamente riferimento alle app per l’ottimizzazione e la datificazione personale. Attraverso una series di tutorial surreali, Labor of Sleep dimostra come i nostri dispositivi digitali siano diventati contemporaneamente causa e rimedio per l’accelerazione dei ritmi del lavoro, promettendo di restituire il tempo che essi stessi hanno contribuito a sottrarci.

Il video qui presentato è una versione lineare derivata dalla videoinstallazione.

Labor of Sleep, Have you been able to change your habits?? è un’opera video dedicata al tema del sonno e della cura del sé. Originariamente commissionata dal Whitney Museum of American Art, l’opera fa ironicamente riferimento alle app per l’ottimizzazione e la datificazione personale. Attraverso una series di tutorial surreali, Labor of Sleep dimostra come i nostri dispositivi digitali siano diventati contemporaneamente causa e rimedio per l’accelerazione dei ritmi del lavoro, promettendo di restituire il tempo che essi stessi hanno contribuito a sottrarci.

Il video qui presentato è una versione lineare derivata dalla videoinstallazione.

Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise

Corinne Mazzoli
04’40” 2014

 

Selected by Mariolina Catani, (Tank Serbatorio Culturale, Bologna)

“Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise” è una performance che usa il gesto comune di truccarsi per ribaltare la logica dell’occultamento e l’ostentazione pubblica del privato. Il pubblico è invitato a prendere parte alla performance, in cui due promoter illustrano come creare lividi con il trucco e soprattutto come sfilare con un livido. Il titolo è ispirato da un articolo del Daily Mail “Boy George is ‘cruising with a bruising’ at the Brits” che criticava la star per essersi presentato ai Brits Award 2014 con un finto occhio nero definendosi una “fashion victim”. La performance è accompagnata da una colonna sonora Harsh Noise che crea un’atmosfera in contrasto con l’estetica patinata da backstage.

“Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise” è una performance che usa il gesto comune di truccarsi per ribaltare la logica dell’occultamento e l’ostentazione pubblica del privato. Il pubblico è invitato a prendere parte alla performance, in cui due promoter illustrano come creare lividi con il trucco e soprattutto come sfilare con un livido. Il titolo è ispirato da un articolo del Daily Mail “Boy George is ‘cruising with a bruising’ at the Brits” che criticava la star per essersi presentato ai Brits Award 2014 con un finto occhio nero definendosi una “fashion victim”. La performance è accompagnata da una colonna sonora Harsh Noise che crea un’atmosfera in contrasto con l’estetica patinata da backstage.

My Love Is So Religious

Kamilia Kard
Website 2016

 

Selected by Mariolina Catani, (Tank Serbatorio Culturale, Bologna)

In My Love Is So Religious (2016), un sito web progettato come una serie di dipinti animati, Kamilia Kard affronta il tema dell’amore come è vissuto in un ambiente contemporaneo, ipermediato e online, in cui storie e pettegolezzi contano più dei fatti. La narrazione si sviluppa attraverso il filtro fornito dai sette peccati capitali della tradizione cristiana, generando un collage di scene di film, anime, immagini amatoriali, animazioni 3D, dipinti, icone sacre e piccole gif animate.

In My Love Is So Religious (2016), un sito web progettato come una serie di dipinti animati, Kamilia Kard affronta il tema dell’amore come è vissuto in un ambiente contemporaneo, ipermediato e online, in cui storie e pettegolezzi contano più dei fatti. La narrazione si sviluppa attraverso il filtro fornito dai sette peccati capitali della tradizione cristiana, generando un collage di scene di film, anime, immagini amatoriali, animazioni 3D, dipinti, icone sacre e piccole gif animate.

Real Chernobyl

Jacopo Rinaldi
29’28” 2019/2020

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Real Chernobyl tenta di ricostruire le vicende e i movimenti di Tomas Garenq, l’uomo che ha venduto alle tv americane ABC e NBC i primi video del disastro di Chernobyl. Le immagini prodotte da Garenq si rivelarono presto un falso girato nella periferia di Trieste. Nel tentativo di rintracciare Tomas Garenq, il video ripercorre i luoghi del suo falso: l’acropoli sanitaria di Cattinara, il quadrilatero di Melara, fno alle camere d’albergo del centro di Trieste dove Garenq soggiornò e tenne le trattative con le televisioni americane. Il video è stato girato nell’estate del 2019, nel giugno più caldo mai registrato. È l’estate dell’emergenza climatica, delle tv che trasmettono la serie ‘Chernobyl’ e delle foreste che iniziano a bruciare.

Real Chernobyl tenta di ricostruire le vicende e i movimenti di Tomas Garenq, l’uomo che ha venduto alle tv americane ABC e NBC i primi video del disastro di Chernobyl. Le immagini prodotte da Garenq si rivelarono presto un falso girato nella periferia di Trieste. Nel tentativo di rintracciare Tomas Garenq, il video ripercorre i luoghi del suo falso: l’acropoli sanitaria di Cattinara, il quadrilatero di Melara, fno alle camere d’albergo del centro di Trieste dove Garenq soggiornò e tenne le trattative con le televisioni americane. Il video è stato girato nell’estate del 2019, nel giugno più caldo mai registrato. È l’estate dell’emergenza climatica, delle tv che trasmettono la serie ‘Chernobyl’ e delle foreste che iniziano a bruciare.

There is a House

Barbara Brugola
5’00” 2020

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

There is a House del 2020 appartiene alla trilogia video “A General Perception of Love”, iniziata con “Loop” del 2017 e proseguita nel 2018 con “To See the Sky, Dance”. In un bosco c’è una casa sull’albero abitata da una giovane donna con il petto pieno di piume. Un uomo nel bosco osserva la casa sull’albero e vi si introduce. Si mette a danzare vicino al giaciglio dove la ragazza dorme: ad un certo punto è sdraiato per terra, in preda a convulsioni. Il giaciglio è ora vuoto. L’uomo è sdraiato immobile ma al sopraggiungere della giovane donna si rianima e i due si guardano finalmente negli occhi: sono infine l’uno abbracciato all’altra, tutt’uno con la struttura della casa. Nel video, organizzato in una doppia inquadratura, coesistono contemporaneamente due punti di vista, lasciando ai meccanismi percettivi dell’osservatore le scelte per ottenere una visione congruente. Davanti alle immagini, attraverso operazioni di raggruppamento formale, esiste la possibilità di uno spazio poetico.

There is a House del 2020 appartiene alla trilogia video “A General Perception of Love”, iniziata con “Loop” del 2017 e proseguita nel 2018 con “To See the Sky, Dance”. In un bosco c’è una casa sull’albero abitata da una giovane donna con il petto pieno di piume. Un uomo nel bosco osserva la casa sull’albero e vi si introduce. Si mette a danzare vicino al giaciglio dove la ragazza dorme: ad un certo punto è sdraiato per terra, in preda a convulsioni. Il giaciglio è ora vuoto. L’uomo è sdraiato immobile ma al sopraggiungere della giovane donna si rianima e i due si guardano finalmente negli occhi: sono infine l’uno abbracciato all’altra, tutt’uno con la struttura della casa. Nel video, organizzato in una doppia inquadratura, coesistono contemporaneamente due punti di vista, lasciando ai meccanismi percettivi dell’osservatore le scelte per ottenere una visione congruente. Davanti alle immagini, attraverso operazioni di raggruppamento formale, esiste la possibilità di uno spazio poetico.

Zanafilla

Stefano Romano
13’02” 2019

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Nel 2019 il governo albanese, presieduto da Edi Rama, approva la costruzione di un nuovo teatro e l’abbattimento di quello esistente, costruito nel 1938 dall’architetto italiano Giulio Bertè. Edificio che inizialmente era stato pensato per essere un centro policulturale e sportivo e che venne destinato a polo teatrale nel 1947. Il progetto del nuovo teatro ha scatenato numerose polemiche fin dalla pubblicazione della notizia, perché sembrava figlio di una speculazione edilizia. Diversi attori, registi, politici e cittadini hanno dato vita anche ad un gruppo organizzato per la difesa del teatro (Aleanca për mbrojtjen e teatrit), e occupando fisicamente l’edificio fino al momento del suo abbattimento, nel giugno 2020.

Zanafilla (l’origine in lingua albanese) nasce nel 2019 proprio nel momento in cui le proteste per l’abbattimento del teatro, assumono la forma dell’occupazione dell’edificio. Edificio che era diventato un “personaggio” di cui ogni parte in causa ne descriveva i tratti, sottolineando quegli aspetti che interessavano di più, a seconda che si fosse pro o contro il suo abbattimento. L’argomento centrale era la sua età, gli uni dicevano che era vecchio e malandato, senza alcuna possibilità di restaurarlo, gli altri dicevano che a dispetto della sua età, l’edificio poteva essere salvato e gestito in un altro modo, anche attraverso un restauro. La cosa che mi ha colpito era proprio l’uso dell’età dell’edificio del teatro, come un argomento centrale nella discussione. Così nasce l’idea di questo film, in cui la videocamera indaga appunto il corpo vecchio e martoriato del teatro, in parallelo al corpo giovane e pieno di vita di una ragazza, che si trova in un altro luogo che all’inizio non riusciamo a definire. Ad un certo punto la scena si apre e la protagonista femminile, viene rivelata completamente in una vecchia fabbrica fatiscente, con in mano un carillon, che la aiuta nel tentativo di mettere in metrica una ninna nanna. La nenia, in lingua albanese, nasce da una mia richiesta a diversi intellettuali, filosofi, artisti locali, di scrivere “una rima per la ninna nanna del teatro” con la metodologia dell’Exquisite corpse, quindi nessuno di loro sapeva cosa aveva scritto l’altro e chi fossero gli altri. Le condizioni fatiscenti della fabbrica potrebbero far pensare che la ninna nanna sia dedicata a quello spazio, in realtà attraverso le parole, lo spettatore crea immediatamente la connessione spaziale e temporale con l’edificio del Teatro. Visto che l’argomento centrale era sempre l’età della struttura, volevo creare questa situazione di ambiguità e lasciare la connessione tra i due luoghi e tra i due soggetti alla potenza lirica del testo. La mia intenzione attraverso questo lavoro, era quella di ribaltare la modalità per cui, di solito sono i vecchi che cantano la ninna nanna ai giovani. Rovesciando le posizioni, quella canzone suona anche come un requiem, come un estremo saluto. Purtroppo è stato profetico in questo senso, la situazione lasciava presagire che sarebbe accaduto, anche se fino alla fine si è cercato di evitarlo, forse più a livello popolare che non politico.

Nel 2019 il governo albanese, presieduto da Edi Rama, approva la costruzione di un nuovo teatro e l’abbattimento di quello esistente, costruito nel 1938 dall’architetto italiano Giulio Bertè. Edificio che inizialmente era stato pensato per essere un centro policulturale e sportivo e che venne destinato a polo teatrale nel 1947. Il progetto del nuovo teatro ha scatenato numerose polemiche fin dalla pubblicazione della notizia, perché sembrava figlio di una speculazione edilizia. Diversi attori, registi, politici e cittadini hanno dato vita anche ad un gruppo organizzato per la difesa del teatro (Aleanca për mbrojtjen e teatrit), e occupando fisicamente l’edificio fino al momento del suo abbattimento, nel giugno 2020.

Zanafilla (l’origine in lingua albanese) nasce nel 2019 proprio nel momento in cui le proteste per l’abbattimento del teatro, assumono la forma dell’occupazione dell’edificio. Edificio che era diventato un “personaggio” di cui ogni parte in causa ne descriveva i tratti, sottolineando quegli aspetti che interessavano di più, a seconda che si fosse pro o contro il suo abbattimento. L’argomento centrale era la sua età, gli uni dicevano che era vecchio e malandato, senza alcuna possibilità di restaurarlo, gli altri dicevano che a dispetto della sua età, l’edificio poteva essere salvato e gestito in un altro modo, anche attraverso un restauro. La cosa che mi ha colpito era proprio l’uso dell’età dell’edificio del teatro, come un argomento centrale nella discussione. Così nasce l’idea di questo film, in cui la videocamera indaga appunto il corpo vecchio e martoriato del teatro, in parallelo al corpo giovane e pieno di vita di una ragazza, che si trova in un altro luogo che all’inizio non riusciamo a definire. Ad un certo punto la scena si apre e la protagonista femminile, viene rivelata completamente in una vecchia fabbrica fatiscente, con in mano un carillon, che la aiuta nel tentativo di mettere in metrica una ninna nanna. La nenia, in lingua albanese, nasce da una mia richiesta a diversi intellettuali, filosofi, artisti locali, di scrivere “una rima per la ninna nanna del teatro” con la metodologia dell’Exquisite corpse, quindi nessuno di loro sapeva cosa aveva scritto l’altro e chi fossero gli altri. Le condizioni fatiscenti della fabbrica potrebbero far pensare che la ninna nanna sia dedicata a quello spazio, in realtà attraverso le parole, lo spettatore crea immediatamente la connessione spaziale e temporale con l’edificio del Teatro. Visto che l’argomento centrale era sempre l’età della struttura, volevo creare questa situazione di ambiguità e lasciare la connessione tra i due luoghi e tra i due soggetti alla potenza lirica del testo. La mia intenzione attraverso questo lavoro, era quella di ribaltare la modalità per cui, di solito sono i vecchi che cantano la ninna nanna ai giovani. Rovesciando le posizioni, quella canzone suona anche come un requiem, come un estremo saluto. Purtroppo è stato profetico in questo senso, la situazione lasciava presagire che sarebbe accaduto, anche se fino alla fine si è cercato di evitarlo, forse più a livello popolare che non politico.

Flag

Flavia Albu
23’18” 2020

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Flag è un video del 2020 (postumo ad una installazione realizzata dall’artista nel 2019): un’inquadratura fissa di una bandiera trasparente che registra i movimenti aleatori del vento. È un’opera che fa parte della ricerca dell’artista, sui simboli e sugli strumenti di potere – che in questo caso sono anche identitari – in cui vacuità e assertività entrano in rapporto circolare. Quest’opera procede da una ricerca pittorica sui dispositivi rappresentativi e interroga le categorie concettuali di trasparenza e opacità, come mezzo per leggere le intenzioni e le dinamiche dell’esercizio del potere. L’artista considera l’ambiguità della retorica del “mettere a nudo”, della “spontaneità” e della “libertà”, in relazione alla frontalità dei dispositivi rappresentativi.

 

Per una corretta fruizione, si consiglia l’ascolto con cuffie o casse esterne; si sconsigliano casse del computer.

Listen with headphones or sound speaker; computer speakers not recommended.

Flag è un video del 2020 (postumo ad una installazione realizzata dall’artista nel 2019): un’inquadratura fissa di una bandiera trasparente che registra i movimenti aleatori del vento. È un’opera che fa parte della ricerca dell’artista, sui simboli e sugli strumenti di potere – che in questo caso sono anche identitari – in cui vacuità e assertività entrano in rapporto circolare. Quest’opera procede da una ricerca pittorica sui dispositivi rappresentativi e interroga le categorie concettuali di trasparenza e opacità, come mezzo per leggere le intenzioni e le dinamiche dell’esercizio del potere. L’artista considera l’ambiguità della retorica del “mettere a nudo”, della “spontaneità” e della “libertà”, in relazione alla frontalità dei dispositivi rappresentativi.

RED – Variations on a Dance Theme

Jacopo Jenna
04’52” 2016

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Coreografia: Jari Boldrini & Ramona Caia Danza / Jari Boldrini
Musica e sound design: Luca Scapellato LSKA
Luci: Gabriele Termine
Progetto video (regia, camera, montaggio): Jacopo Jenna

Nel 1966 il filmmaker Hilary Harris, noto pioniere della timelapse photography, creò il film Nine Variations on a Dance Theme, nel quale la danzatrice Bettie de Jong interpreta una variazione di 50 secondi, filmata in 9 modalità differenti. RED Variations on a Dance Theme è un esercizio filmico che mette in relazione la frammentazione dell’immagine in movimento con la continuità del fluire della danza.

Nel 1966 il filmmaker Hilary Harris, noto pioniere della timelapse photography, creò il film Nine Variations on a Dance Theme, nel quale la danzatrice Bettie de Jong interpreta una variazione di 50 secondi, filmata in 9 modalità differenti. RED Variations on a Dance Theme è un esercizio filmico che mette in relazione la frammentazione dell’immagine in movimento con la continuità del fluire della danza.

La Tempesta

Caterina Erica Shanta
21’05” 2019

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Prodotto dall’ Accademia di Belle Arti di Firenze, Dolomiti Contemporanee, PAV Parco Arte Vivente (TO)

Le cantine dell’Accademia di Belle Arti di Firenze non sono soltanto il luogo che viene ripulito dai fanghi, residui dell’Alluvione che nel 1966 colpì tutta Italia: solidificandosi, proprio questi fanghi hanno dato forma allo spazio nel tempo, conservandolo diversamente. Sono un calco o una sorta di fotografia. La Tempesta nasce dalla rielaborazione di un’esperienza personale di Caterina Erica Shanta, coinvolta da Vaia, inedito ed impossibile uragano che si abbatté la notte del 29 ottobre 2018 sul lato orientale dell’arco alpino abbattendo milioni di alberi. Pochi mesi dopo, Caterina inizia la collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Firenze per un progetto sull’Alluvione che colpì la città nel 1966. Questo lavoro vuole indagare ciò che resta a terra dopo la tempesta – intesa quale azione meteorologica violenta – trasfigurando il paesaggio ed i suoi frammenti, in una dimensione microbica, alla ricerca di un’altra vita. Milioni di alberi caduti, milioni di libri perduti. Questa enorme mole di materiale, tra resti di alberi schiantati e fango, costituisce una sorta di immenso archivio, aggredito e trasformato nella materia da muffe, funghi, insetti, umidità. Un cambiamento nella prospettiva d’osservazione, che permette, rispetto alla visione monolitica e vischiosa della tragedia, di affiancarsi diversamente al mistero.

Le cantine dell’Accademia di Belle Arti di Firenze non sono soltanto il luogo che viene ripulito dai fanghi, residui dell’Alluvione che nel 1966 colpì tutta Italia: solidificandosi, proprio questi fanghi hanno dato forma allo spazio nel tempo, conservandolo diversamente. Sono un calco o una sorta di fotografia. La Tempesta nasce dalla rielaborazione di un’esperienza personale di Caterina Erica Shanta, coinvolta da Vaia, inedito ed impossibile uragano che si abbatté la notte del 29 ottobre 2018 sul lato orientale dell’arco alpino abbattendo milioni di alberi. Pochi mesi dopo, Caterina inizia la collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Firenze per un progetto sull’Alluvione che colpì la città nel 1966. Questo lavoro vuole indagare ciò che resta a terra dopo la tempesta – intesa quale azione meteorologica violenta – trasfigurando il paesaggio ed i suoi frammenti, in una dimensione microbica, alla ricerca di un’altra vita. Milioni di alberi caduti, milioni di libri perduti. Questa enorme mole di materiale, tra resti di alberi schiantati e fango, costituisce una sorta di immenso archivio, aggredito e trasformato nella materia da muffe, funghi, insetti, umidità. Un cambiamento nella prospettiva d’osservazione, che permette, rispetto alla visione monolitica e vischiosa della tragedia, di affiancarsi diversamente al mistero.

I Figli di dio

Maria Luigia Gioffrè
05’25” 2019

 

Selected by Alberto Ceresoli, Carmela Cosco (Superstudiolo Arte Contemporanea, Bergamo)

Ricerca realizzata col sostegno di Cassata Drone Expanded Archive e Goethe Institute Palermo, 2019

Il lavoro si compone come traccia di ricerca visiva di una forma-processo che vede il latte come protagonista trasversale del processo di creazione della vita umana e del tentativo di continuità di essa.

Il lavoro si compone come traccia di ricerca visiva di una forma-processo che vede il latte come protagonista trasversale del processo di creazione della vita umana e del tentativo di continuità di essa.

Domicilio

Simona Pavoni
08’52” 2020/21

 

Selected by Clara Scola (Anonima Kunsthalle, Varese)

Domicilio parla di architettura e luce, di distruzione e rigenerazione della visione.

Domicilio parla di architettura e luce, di distruzione e rigenerazione della visione.

It shapes us

Aurora Bertoli
01’34” 2020

 

Selected by Clara Scola (Anonima Kunsthalle, Varese)

L’animazione It shapes us si interroga sull’interazione fra immagini, immaginario e identità, studiando le implicazioni del machine learning sulla formazione del sé. La personalizzazione dell’ambiente online, sempre più gestito da algoritmi, comporta una modifica nel visibile quotidiano e di conseguenza un’alterazione nella percezione del sé. In questo video infatti, non sono solo le immagini ad adattarsi alle scelte personali fatte, ma anche, in maniera impercettibile, i tratti somatici dei personaggi. Partendo tutti da una stessa base, i tre visi subiscono una mutazione fisica che rispecchia gli stereotipi proposti delle immagini e della loro classificazione all’interno del sistema tecnologico.

L’animazione It shapes us si interroga sull’interazione fra immagini, immaginario e identità, studiando le implicazioni del machine learning sulla formazione del sé. La personalizzazione dell’ambiente online, sempre più gestito da algoritmi, comporta una modifica nel visibile quotidiano e di conseguenza un’alterazione nella percezione del sé. In questo video infatti, non sono solo le immagini ad adattarsi alle scelte personali fatte, ma anche, in maniera impercettibile, i tratti somatici dei personaggi. Partendo tutti da una stessa base, i tre visi subiscono una mutazione fisica che rispecchia gli stereotipi proposti delle immagini e della loro classificazione all’interno del sistema tecnologico.

Rapimento

Giovanni Sambo
02’57” 2021

 

Selected by Clara Scola (Anonima Kunsthalle, Varese)

Siamo abituati a fruire dell’intelligenza artificiale quotidianamente: chiediamo di puntare la sveglia, di riprodurre il nostro brano preferito, di portarci al lavoro, di ordinare il cibo. Rapimento esprime in modo incredibilmente asettico tutto ciò che sta accadendo alla nostra mente a causa dei devices che abbiamo costantemente tra le mani. «Ascoltami, guardami negli occhi» dice il soggetto, è un invito ad avvicinarci, restiamo soggiogati dai volti morbidi che scorrono di fronte a noi, un rapimento non coercitivo che ci reclude ontologicamente. Sembra quasi un ricatto subdolo e mentale: ti mostrerò i tuoi veri desideri, ti porterò a fare le scelte che so essere giuste per te; aliena la volontà, i desideri e le pulsioni dell’essere umano. La persuasione dell’intelligenza artificiale è disarmante e in questo caso subisce un’umanizzazione estrema grazie all’uomo che diventa schermo. Il suo volto è il limite labile tra virtuale e reale, luogo dove la composizione algoritmica, rappresentazione visiva del nostro aiutante digitale, prende vita.

Siamo abituati a fruire dell’intelligenza artificiale quotidianamente: chiediamo di puntare la sveglia, di riprodurre il nostro brano preferito, di portarci al lavoro, di ordinare il cibo. Rapimento esprime in modo incredibilmente asettico tutto ciò che sta accadendo alla nostra mente a causa dei devices che abbiamo costantemente tra le mani. «Ascoltami, guardami negli occhi» dice il soggetto, è un invito ad avvicinarci, restiamo soggiogati dai volti morbidi che scorrono di fronte a noi, un rapimento non coercitivo che ci reclude ontologicamente. Sembra quasi un ricatto subdolo e mentale: ti mostrerò i tuoi veri desideri, ti porterò a fare le scelte che so essere giuste per te; aliena la volontà, i desideri e le pulsioni dell’essere umano. La persuasione dell’intelligenza artificiale è disarmante e in questo caso subisce un’umanizzazione estrema grazie all’uomo che diventa schermo. Il suo volto è il limite labile tra virtuale e reale, luogo dove la composizione algoritmica, rappresentazione visiva del nostro aiutante digitale, prende vita.

Pawns of Furthest East

Matteo Messina
10’30” 2019

 

Selected by Clara Scola (Anonima Kunsthalle, Varese)

Furthest East è un cyberspazio d’azione libero da specifiche peculiarità burocratiche e da qualsiasi altra restrizione. Chiunque può vedere Furthest East in cose, luoghi, parole diverse; lo spazio d’azione è in costante esplorazione, ma soprattutto è puro mutamento. È un territorio di compromessi dove tutto può esistere, un sogno che ha il preciso obiettivo di contenere tutti gli altri, per scoprire nuovi nodi e connetterli. Non è un’alternativa, perché non esiste possibilità di scegliere; non serve il corpo perché l’attività cerebrale può essere registrata e riprodotta in ogni istante.

Furthest East è un cyberspazio d’azione libero da specifiche peculiarità burocratiche e da qualsiasi altra restrizione. Chiunque può vedere Furthest East in cose, luoghi, parole diverse; lo spazio d’azione è in costante esplorazione, ma soprattutto è puro mutamento. È un territorio di compromessi dove tutto può esistere, un sogno che ha il preciso obiettivo di contenere tutti gli altri, per scoprire nuovi nodi e connetterli. Non è un’alternativa, perché non esiste possibilità di scegliere; non serve il corpo perché l’attività cerebrale può essere registrata e riprodotta in ogni istante.

AAAAAAAAAAAAA

Teresa Prati
06’07” 2019

 

Selected by Clara Scola (Anonima Kunsthalle, Varese)

Quando raggiungiamo limiti di stress o nervosismo molto elevati, il nostro corpo trova un canale fisico per liberarsi dai pesi emotivi, per evitare di subire un crollo. Il modo più comune di sfogarsi è urlare. Urlando, il corpo scarica tutti gli impulsi nervosi e le tensioni accumulate all’ esterno, con il solo utilizzo della voce. AAAAAAAAAAAAA nasce da un urlo emesso durante una tappa di un lungo viaggio in macchina. L’automobile rimane il luogo designato per l’atto, un perimetro in cui l’individuo può creare la propria intimità.

Quando raggiungiamo limiti di stress o nervosismo molto elevati, il nostro corpo trova un canale fisico per liberarsi dai pesi emotivi, per evitare di subire un crollo. Il modo più comune di sfogarsi è urlare. Urlando, il corpo scarica tutti gli impulsi nervosi e le tensioni accumulate all’ esterno, con il solo utilizzo della voce. AAAAAAAAAAAAA nasce da un urlo emesso durante una tappa di un lungo viaggio in macchina. L’automobile rimane il luogo designato per l’atto, un perimetro in cui l’individuo può creare la propria intimità.

Azione nel bosco, primitivo

Simone Cametti
03’51” 2021

 

Selected by Valentina Muzi (Shazar Gallery, Napoli)

Ho interpretato il territorio come una tele bianca, dove per mezzo di video e fotografie ho elaborato delle performance rivolte alla perdita dei punti di riferimento. Così ho definito alcune ascese tra le vette più alte dei monti della Laga durante delle tormente di neve. Sono partito volutamente senza alcun mezzo che mi fosse di supporto ad orientarmi. Durante questo percorso ho prodotto alcuni scatti fotografici, cercando una dimensione visiva quasi interamente neutra. Successivamente ho elaborato un’altra azione definendo un tracciato all’interno di un bosco in notturna, anche in questo caso ho optato di non utilizzare mezzi d’orientamento: ho camminato all’interno del bosco in un’unica direzione per circa un’ora.

Ho interpretato il territorio come una tele bianca, dove per mezzo di video e fotografie ho elaborato delle performance rivolte alla perdita dei punti di riferimento. Così ho definito alcune ascese tra le vette più alte dei monti della Laga durante delle tormente di neve. Sono partito volutamente senza alcun mezzo che mi fosse di supporto ad orientarmi. Durante questo percorso ho prodotto alcuni scatti fotografici, cercando una dimensione visiva quasi interamente neutra. Successivamente ho elaborato un’altra azione definendo un tracciato all’interno di un bosco in notturna, anche in questo caso ho optato di non utilizzare mezzi d’orientamento: ho camminato all’interno del bosco in un’unica direzione per circa un’ora.

Peso Leggero

Sonia Andresano
03’33” 2018

 

Selected by Valentina Muzi (Shazar Gallery, Napoli)

Courtesy AlbumArte

In questo video non esiste una vera e propria narrazione. ho voluto descrivere un’apparizione inconsueta, un capovolgimento surreale. Una visione improvvisa e fulminante, in una città dove non ho mai vissuto, mi ha restituito la chiave di lettura dei miei innumerevoli traslochi, spostamenti e trasferimenti nel corso degli anni. Trasformare in leggerezza sospesa il pesante fardello, fisico ed emotivo, di una logistica movimentata contribuisce ad alleviare il disagio del bagaglio, sempre troppo ingombrante. L’ossimoro del titolo, nella sua voluta indefinitezza descrive uno stato d’animo e fornisce un suggerimento a capovolgere i risultati delle esperienze, possibilmente a nostro favore.

In questo video non esiste una vera e propria narrazione. ho voluto descrivere un’apparizione inconsueta, un capovolgimento surreale. Una visione improvvisa e fulminante, in una città dove non ho mai vissuto, mi ha restituito la chiave di lettura dei miei innumerevoli traslochi, spostamenti e trasferimenti nel corso degli anni. Trasformare in leggerezza sospesa il pesante fardello, fisico ed emotivo, di una logistica movimentata contribuisce ad alleviare il disagio del bagaglio, sempre troppo ingombrante. L’ossimoro del titolo, nella sua voluta indefinitezza descrive uno stato d’animo e fornisce un suggerimento a capovolgere i risultati delle esperienze, possibilmente a nostro favore.

Contact

Paola Risoli
04’50” 2019

 

Selected by Valentina Muzi (Shazar Gallery, Napoli)

Camminare atto e icona del conoscere. A piedi nudi, da via San Biagio dei Librai 112 ( dove ha vissuto Giambattista Vico) a via Pasquale Scura 8 (sede della galleria) , affrontando le insidie di un suolo che richiederebbe la protezione di una calzatura. La scelta di conoscenza diretta anche sensoriale chiede coraggio, chiede di vincere paure naturali, chiede di esserci, essere totalmente, in attenzione, nella strada che si sta percorrendo. Il piede nudo è al tempo stesso abbandono di ogni difesa ma anche estrema antenna, totale sensibilità, esposta, apertura. Camminare a piedi nudi, per sentire, abbandonando la paura del dolore. Abbandonare la paura del dolore per meglio conoscere.

Camminare atto e icona del conoscere. A piedi nudi, da via San Biagio dei Librai 112 ( dove ha vissuto Giambattista Vico) a via Pasquale Scura 8 (sede della galleria) , affrontando le insidie di un suolo che richiederebbe la protezione di una calzatura. La scelta di conoscenza diretta anche sensoriale chiede coraggio, chiede di vincere paure naturali, chiede di esserci, essere totalmente, in attenzione, nella strada che si sta percorrendo. Il piede nudo è al tempo stesso abbandono di ogni difesa ma anche estrema antenna, totale sensibilità, esposta, apertura. Camminare a piedi nudi, per sentire, abbandonando la paura del dolore. Abbandonare la paura del dolore per meglio conoscere.

meZZeria

Giovanni Battimiello
3’00” 2019

 

Selected by Valentina Muzi (Shazar Gallery, Napoli)

Binari fluidi tracciano il percorso, disegnano il paesaggio, creano canali ricchi di sfumature. La linea netta colora la fitta trama della strada e corre avanti ad indicarci la direzione, il punto da raggiungere o da superare. La velocità condiziona l’afona percezione del nostro vissuto.

Binari fluidi tracciano il percorso, disegnano il paesaggio, creano canali ricchi di sfumature. La linea netta colora la fitta trama della strada e corre avanti ad indicarci la direzione, il punto da raggiungere o da superare. La velocità condiziona l’afona percezione del nostro vissuto.

Limbo

Luca Vianello
21’41” 2020

 

Selected by Valentina Muzi (Shazar Gallery, Napoli)

Courtesy Mucho Mas! Artist-run space

Durante la quarantena l’essere umano è stato costretto in determinati spazi, abitazioni, giardini, stanze, ma tutti quei luoghi sono stati isolati dalla civiltà, al fine di limitare il virus pandemico, obbligato a cercare un nuovo modo di vedere il mondo e di far parte di una società. Internet e le webcam sostituiscono il reale: nasce un nuovo metodo per riempire la nostra sensazione di essere parte di qualcosa. Questo loop è una metafora del presente. Una figura antropomorfa ripete continuamente gli stessi movimenti, in un limbo indefinibile, dove tutto è bloccato nel tempo e nello spazio. Il soggetto ripete come noi la stessa routine ogni giorno, cercando di svincolarsi da una situazione vincolante.

Durante la quarantena l’essere umano è stato costretto in determinati spazi, abitazioni, giardini, stanze, ma tutti quei luoghi sono stati isolati dalla civiltà, al fine di limitare il virus pandemico, obbligato a cercare un nuovo modo di vedere il mondo e di far parte di una società. Internet e le webcam sostituiscono il reale: nasce un nuovo metodo per riempire la nostra sensazione di essere parte di qualcosa. Questo loop è una metafora del presente. Una figura antropomorfa ripete continuamente gli stessi movimenti, in un limbo indefinibile, dove tutto è bloccato nel tempo e nello spazio. Il soggetto ripete come noi la stessa routine ogni giorno, cercando di svincolarsi da una situazione vincolante.

Scacco alla regina

Filippo Riniolo
00’35” 2020

 

Selected by Roberto Ratti (Traffic Gallery, Bergamo)

Progetto di Arteprima Progetti e Xister Reply

Scacco alla regina è un videomotion 3d realizzato durante il primo lockdown in cui l’artista prova a dare forma all’avvento della pandemia. Gli scacchi sono per eccellenza il simbolo della società delle regole. Sono le regole e le norme. Gli scacchi crollano e le mascherine servono solo a rallentare un crollo annunicato davanti ai nostri occhi. E’ il potere che defraga davanti ai nostri occhi. Ma ascoltando scopriamo un’elemento in più, la chiave dell’opera. Questa frantumazione è una possibilità, uno spiraglio e non solo una tragedia. Un’opera con diverse possibile chiavi di interpretazione e con molteplici possibili significati. Un’opera che mostra il potere e il suo crollare, sia il potere buono che cattivo, bianco e nero, ma lascia a noi coglierne l’esito, o meglio, ad immaginarlo.

Scacco alla regina è un videomotion 3d realizzato durante il primo lockdown in cui l’artista prova a dare forma all’avvento della pandemia. Gli scacchi sono per eccellenza il simbolo della società delle regole. Sono le regole e le norme. Gli scacchi crollano e le mascherine servono solo a rallentare un crollo annunicato davanti ai nostri occhi. E’ il potere che defraga davanti ai nostri occhi. Ma ascoltando scopriamo un’elemento in più, la chiave dell’opera. Questa frantumazione è una possibilità, uno spiraglio e non solo una tragedia. Un’opera con diverse possibile chiavi di interpretazione e con molteplici possibili significati. Un’opera che mostra il potere e il suo crollare, sia il potere buono che cattivo, bianco e nero, ma lascia a noi coglierne l’esito, o meglio, ad immaginarlo.

La Vergato liberata

Oreste Baccolini
15’42” 2019

 

Selected by Federica Fiumelli (Officina 15, Bologna)

Ho selezionato dagli Archivi Militari Americani alcuni frammenti di immagini delle ultime fasi della liberazione della città di Vergato (Emilia-Romagna), avvenuta nell’aprile 1945. I fotogrammi rappresentano una soffice e delicata nube di fumo (che ricorda vagamente anche la forma di un fungo) derivante da un bombardamento del 17 aprile. Mi sono chiesto se esiste una possibile relazione significativa, sotterranea, tra il ricordo dei tanti che hanno vissuto quegli eventi traumatici e ciò che si innesca con il luogo di origine di ciascuno di noi nell’attualità del presente. Passato e attualità si intrecciano materialmente in un audio derivante da un mix di suoni registrati con una videocamera appartenenti a macchine meccaniche, e mixate da me. Il video è stato proiettato e successivamente nuovamente registrato con la videocamera.
Ascolto e visione vengono così volutamente distorti in un processo di condensazione di tempi storici differenti: passato e presente – alla ricerca di un futuro incerto avvolto dalla nebbia di una grande nube grigia (Federica Fiumelli)

Ho selezionato dagli Archivi Militari Americani alcuni frammenti di immagini delle ultime fasi della liberazione della città di Vergato (Emilia-Romagna), avvenuta nell’aprile 1945. I fotogrammi rappresentano una soffice e delicata nube di fumo (che ricorda vagamente anche la forma di un fungo) derivante da un bombardamento del 17 aprile. Mi sono chiesto se esiste una possibile relazione significativa, sotterranea, tra il ricordo dei tanti che hanno vissuto quegli eventi traumatici e ciò che si innesca con il luogo di origine di ciascuno di noi nell’attualità del presente. Passato e attualità si intrecciano materialmente in un audio derivante da un mix di suoni registrati con una videocamera appartenenti a macchine meccaniche, e mixate da me. Il video è stato proiettato e successivamente nuovamente registrato con la videocamera.
Ascolto e visione vengono così volutamente distorti in un processo di condensazione di tempi storici differenti: passato e presente – alla ricerca di un futuro incerto avvolto dalla nebbia di una grande nube grigia (Federica Fiumelli)

Unplugged

Davide Mari
16’01” 2019

 

Selected by Federica Fiumelli (Officina 15, Bologna)

Nel 1936, Jacques Lacan teorizzava quella che viene definita la “fase dello specchio”, ovvero il momento in cui il bambino si guarda allo specchio per la prima volta, riconoscendo la propria immagine. Secondo Lacan, è in questo momento che il nucleo dell’Io inizia a formarsi nella mente infantile. E’ proprio in questa fase che si viene a creare la connessione tra l’organismo e l’ambiente, tra il mondo interno ed esterno. Ho iniziato questo progetto a Milano con alcuni studenti, a cui è stato chiesto di stare di fronte a uno specchio e di osservarsi per 10 minuti in un ambiente buio e silenzioso. L’esperimento è stato filmato attraverso uno specchio a due vie per restituire all’osservatore il punto di vista del soggetto. Viviamo in una società in cui tutto, dal lavoro alle relazioni umane, va al doppio della velocità delle generazioni precedenti. Non abbiamo più tempo per fermarci e osservare ciò che sta accadendo intorno a noi e, soprattutto, dentro di noi.

Nel 1936, Jacques Lacan teorizzava quella che viene definita la “fase dello specchio”, ovvero il momento in cui il bambino si guarda allo specchio per la prima volta, riconoscendo la propria immagine. Secondo Lacan, è in questo momento che il nucleo dell’Io inizia a formarsi nella mente infantile. E’ proprio in questa fase che si viene a creare la connessione tra l’organismo e l’ambiente, tra il mondo interno ed esterno. Ho iniziato questo progetto a Milano con alcuni studenti, a cui è stato chiesto di stare di fronte a uno specchio e di osservarsi per 10 minuti in un ambiente buio e silenzioso. L’esperimento è stato filmato attraverso uno specchio a due vie per restituire all’osservatore il punto di vista del soggetto. Viviamo in una società in cui tutto, dal lavoro alle relazioni umane, va al doppio della velocità delle generazioni precedenti. Non abbiamo più tempo per fermarci e osservare ciò che sta accadendo intorno a noi e, soprattutto, dentro di noi.

Everything I can’t tell my mother

Łukasz Horbów
01’01” 2017

 

Selected by Federica Fiumelli (Officina 15, Bologna)

È una video confessione a una madre, di tutti i segreti da cui si nasconde, ma da questa confessione tutte le parole sono state deliberatamente tagliate, il che mostra le emozioni nel solo pronunciare le parole senza conseguenze.

È una video confessione a una madre, di tutti i segreti da cui si nasconde, ma da questa confessione tutte le parole sono state deliberatamente tagliate, il che mostra le emozioni nel solo pronunciare le parole senza conseguenze.

Can’t help falling in love

Cecilia Del Gatto
02’22” 2020

 

Selected by Federica Fiumelli (Officina 15, Bologna)

Coscienti o incoscienti dell’influenza della pubblicità e del condizionamento al consumo che la sottende, non possiamo sottrarci alla sua persuasione che genera un cambiamento di opinione per mezzo di puri contenuti mentali: non possiamo fare a meno di innamorarci di lei.

Coscienti o incoscienti dell’influenza della pubblicità e del condizionamento al consumo che la sottende, non possiamo sottrarci alla sua persuasione che genera un cambiamento di opinione per mezzo di puri contenuti mentali: non possiamo fare a meno di innamorarci di lei.

Ping Pong & Rocks

Elizabeth Charnock
01’08” 2018

 

Selected by Federica Fiumelli (Officina 15, Bologna)

The two short animations “Ping Pong” and “Rocks” are part of an ongoing body of work concerned with constructed realities. Inspired by my surroundings, I create fictional, curated scenes that span the divide between the natural and built world. The media I use cross-reference each other: in this case I have taken fragments of existing drawings and repurposed them into animated form, which itself is then referenced again by a different sculptural piece. Through this process I am interested in exploring perceptions of familiar environments and our sense of place within them.

The two short animations “Ping Pong” and “Rocks” are part of an ongoing body of work concerned with constructed realities. Inspired by my surroundings, I create fictional, curated scenes that span the divide between the natural and built world. The media I use cross-reference each other: in this case I have taken fragments of existing drawings and repurposed them into animated form, which itself is then referenced again by a different sculptural piece. Through this process I am interested in exploring perceptions of familiar environments and our sense of place within them.

Solaria

Alessandro Moroni
02’27” 2020

 

Selected by Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, Nicola Guastamacchia (In-ruins, Catanzaro)

Questo lavoro si sviluppa a partire dall’idea del fallimento e delle rovine dell’utopia modernista. Una voce fuori campo recita un testo a metà strada tra critica e finzione che racconta di un sogno ricorrente in cui l’immagine spettrale di un’abitazione modernista abbandonata corrisponde ad una sensazione di ansia, di perenne ritardo. Le aspirazioni universali di questa corrente architettonica si confondono con conoscenza popolare e superstizione. L’animazione mostra un agglomerato di arredameto modernista su cui poggia un modello trasparente di un’abitazione in stile Mid-Century.

Questo lavoro si sviluppa a partire dall’idea del fallimento e delle rovine dell’utopia modernista. Una voce fuori campo recita un testo a metà strada tra critica e finzione che racconta di un sogno ricorrente in cui l’immagine spettrale di un’abitazione modernista abbandonata corrisponde ad una sensazione di ansia, di perenne ritardo. Le aspirazioni universali di questa corrente architettonica si confondono con conoscenza popolare e superstizione. L’animazione mostra un agglomerato di arredameto modernista su cui poggia un modello trasparente di un’abitazione in stile Mid-Century.

“Inverting” commas

Guildor
05’21” 2018

 

Selected by Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, Nicola Guastamacchia (In-ruins, Catanzaro)

L’utilizzo delle virgolette è stato introdotto in filosofia per distanziarsi da ogni rischio di dogmatismo. Mezzo secolo più tardi, questo video indaga le implicazioni dell’iper relativismo e del distacco ironico nella creazione del fenomeno della post verità, soprattutto in un contesto di overload informativo come quello attuale. Ripercorrendo le maggiori teorie cospirazioniste occidentali, mentre un performer invisibile si muove lungo una catena di sinonimi che collegano due termini dal significato opposto, lo spettatore è trascinato in una spirale di crescente indeterminatezza e inquietudine.

L’utilizzo delle virgolette è stato introdotto in filosofia per distanziarsi da ogni rischio di dogmatismo. Mezzo secolo più tardi, questo video indaga le implicazioni dell’iper relativismo e del distacco ironico nella creazione del fenomeno della post verità, soprattutto in un contesto di overload informativo come quello attuale. Ripercorrendo le maggiori teorie cospirazioniste occidentali, mentre un performer invisibile si muove lungo una catena di sinonimi che collegano due termini dal significato opposto, lo spettatore è trascinato in una spirale di crescente indeterminatezza e inquietudine.

Posen

Ania Plonka
08’42” 2017

 

Selected by Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, Nicola Guastamacchia (In-ruins, Catanzaro)

Posen è un meme sulla depressione di 9 minuti, un sogno che potrebbe capitare ad un dipendente di un’agenzia pubblicitaria, dopo il weekend di festa e un lunedì passato a cercare video su Shutterstock. “Posen” è il nome della città in cui inizia la storia, ma è anche un neologismo per lo stato d’animo dopo il sogno (in lingua polacca “posen” significa letteralmente “dopo il sogno”) – lo stato fluttuante di coscienza al risveglio, quando il reale si impone sul sogno. “Posen” è anche una memoria distorta nel tempo. Il documentario si presenta come una combinazione di materiali d’archivio, che completano lo spazio del film con elementi dell’immaginario collettivo. Il materiale documentario è stato ripreso da una videocamera da 8 mm e modificato digitalmente.

Posen è un meme sulla depressione di 9 minuti, un sogno che potrebbe capitare ad un dipendente di un’agenzia pubblicitaria, dopo il weekend di festa e un lunedì passato a cercare video su Shutterstock. “Posen” è il nome della città in cui inizia la storia, ma è anche un neologismo per lo stato d’animo dopo il sogno (in lingua polacca “posen” significa letteralmente “dopo il sogno”) – lo stato fluttuante di coscienza al risveglio, quando il reale si impone sul sogno. “Posen” è anche una memoria distorta nel tempo. Il documentario si presenta come una combinazione di materiali d’archivio, che completano lo spazio del film con elementi dell’immaginario collettivo. Il materiale documentario è stato ripreso da una videocamera da 8 mm e modificato digitalmente.

Repulsione

Jakub Glinski
03’32” 2017

 

Selected by Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, Nicola Guastamacchia (In-ruins, Catanzaro)

Video realizzato per la mostra “Odio tutti” alla Arman Galstyan Gallery di Varsavia.

Video realizzato per la mostra “Odio tutti” alla Arman Galstyan Gallery di Varsavia.

Trust Me With Your Full Weight

Flavia Tritto
10’46” 2020

 

Selected by Maria Luigia Gioffrè, Dobroslawa Nowak, Nicola Nitido, Nicola Guastamacchia (In-ruins, Catanzaro)

Realizzato in collaborazione con la performer Katarina Nesic

In un tempo sospeso, una creatura si aggira in una terra apparentemente desolata. La sua origine non è chiara (si tratta di un’aliena arrivata da lontano o di un sottoprodotto di questo territorio?), ma il suo errare è inequivocabile: è mossa da una ricerca esplorativa ed identitaria, che si sviluppa in maniere dinamica in risposta agli abitanti millenari del territorio: gli ulivi. Con questi instaura un dialogo di movimenti e forme, un esplorare profondo che, ciclicamente, si apre e si chiude nel grembo di un ulivo. Riferendosi alla crisi ecologica del territorio Pugliese, l’opera risponde all’esigenza globale di ripensare il nostro rapporto con la natura, suggerendo un riposizionamento panico e simbiotico con l’ambiente naturale. Lo fa attraverso un sistematico rovesciamento delle parti, ponendo un’umana nei panni di un “alieno” e gli ulivi in quella di abitanti della terra, così suggerendo un agire non più dominante ma caratterizzato da comprensione e cura. Il lavoro esplora altresì il concetto di alterità, enfatizzando l’aspetto processuale nell’incontro con la differenza.

In un tempo sospeso, una creatura si aggira in una terra apparentemente desolata. La sua origine non è chiara (si tratta di un’aliena arrivata da lontano o di un sottoprodotto di questo territorio?), ma il suo errare è inequivocabile: è mossa da una ricerca esplorativa ed identitaria, che si sviluppa in maniere dinamica in risposta agli abitanti millenari del territorio: gli ulivi. Con questi instaura un dialogo di movimenti e forme, un esplorare profondo che, ciclicamente, si apre e si chiude nel grembo di un ulivo. Riferendosi alla crisi ecologica del territorio Pugliese, l’opera risponde all’esigenza globale di ripensare il nostro rapporto con la natura, suggerendo un riposizionamento panico e simbiotico con l’ambiente naturale. Lo fa attraverso un sistematico rovesciamento delle parti, ponendo un’umana nei panni di un “alieno” e gli ulivi in quella di abitanti della terra, così suggerendo un agire non più dominante ma caratterizzato da comprensione e cura. Il lavoro esplora altresì il concetto di alterità, enfatizzando l’aspetto processuale nell’incontro con la differenza.

Finis Terrae

Cristina De Paola
03’01” 2019

 

Selected by Edoardo Decobelli, (Spazio Volta, Bergamo)

Porto Badisco si trova nel basso Salento ed è uno dei luoghi più esposti ad Est dell’intera penisola. Da sempre gode di una forte valenza emotiva per gli abitanti dei paesi vicini e per chi lascia la propria terra per esplorare nuove mete; la luminaria, simbolo cardine della tradizione folkloristica del meridione italiano, si insedia all’interno di questo luogo apparentemente incontaminato come conferma del grande attaccamento che il popolo nutre nei confronti delle proprie tradizioni, dalle quali difficilmente prende le distanze. La ripresa è lenta, quasi immobile, come una immagine fotografica, rispecchiando l’atmosfera del luogo, i ritmi di vita dei piccoli centri limitrofi, che a volte risultano logoranti, specialmente d’inverno, quando l’aerea salentina pare dimenticata da tutti e torna ad essere popolata unicamente dalla gente locale. Finis Terrae come “confine della terra”, come “terra estrema”, dove pare non ci sia altro, dove ci si ferma a meditare, a contemplare le acque del mare, dove vi si fa ritorno dopo un lungo viaggio per sentirsi di nuovo a casa. Il video è parte integrante dell’omonima ricerca fotografica, divenuta nel corso del tempo studio approfondito sul territorio e sul rapporto intrinseco che esso crea con chi lo abita sin dalla preistoria.

Porto Badisco si trova nel basso Salento ed è uno dei luoghi più esposti ad Est dell’intera penisola. Da sempre gode di una forte valenza emotiva per gli abitanti dei paesi vicini e per chi lascia la propria terra per esplorare nuove mete; la luminaria, simbolo cardine della tradizione folkloristica del meridione italiano, si insedia all’interno di questo luogo apparentemente incontaminato come conferma del grande attaccamento che il popolo nutre nei confronti delle proprie tradizioni, dalle quali difficilmente prende le distanze. La ripresa è lenta, quasi immobile, come una immagine fotografica, rispecchiando l’atmosfera del luogo, i ritmi di vita dei piccoli centri limitrofi, che a volte risultano logoranti, specialmente d’inverno, quando l’aerea salentina pare dimenticata da tutti e torna ad essere popolata unicamente dalla gente locale. Finis Terrae come “confine della terra”, come “terra estrema”, dove pare non ci sia altro, dove ci si ferma a meditare, a contemplare le acque del mare, dove vi si fa ritorno dopo un lungo viaggio per sentirsi di nuovo a casa. Il video è parte integrante dell’omonima ricerca fotografica, divenuta nel corso del tempo studio approfondito sul territorio e sul rapporto intrinseco che esso crea con chi lo abita sin dalla preistoria.

I Am Ghush Woman

Federica Murittu
02’00” 2020

 

Selected by Francesca Greco (Presa Multipla, Milano)

Performer: Nanor Sam

Il progetto sviluppato riguarda la situazione politica in Armenia. Dopo la schiacciante vittoria di Pashinyan alle politiche, la precedente classe dirigente dell’Armenia si è unita con un gruppo di forze omofobe e di estrema destra, tentando di muovere la società contro un nuovo corso del paese. Attraverso attacchi a donne LGBT+, vengono presentate la democratizzazione e i movimenti per i diritti umani come politiche occidentali, non affini alla precedente ideologia. Come tradizione l’Armenia ha una venerazione verso i piccioni, questi animali vengono chiamati Ghush e il loro allevatore Ghushbase. I Ghushbase sono pronti a tutto per la sicurezza dei loro piccioni che vengono considerati sacri, portatori di pace e fertilità, dal valore inestimabile. Spesso trascurano il lavoro e gli amici pur di stare vicino ai loro beneamati. In Armenia avere un piccione vuol dire essere rispettati, ma amore, rispetto, valore e benessere non è esattamente ciò per cui la donna combatte da sempre in Armenia? Il video mostra una donna armena che, con la sua voce, combatte il rumore degli uccelli che minaccia di sovrastarla.

Il progetto sviluppato riguarda la situazione politica in Armenia. Dopo la schiacciante vittoria di Pashinyan alle politiche, la precedente classe dirigente dell’Armenia si è unita con un gruppo di forze omofobe e di estrema destra, tentando di muovere la società contro un nuovo corso del paese. Attraverso attacchi a donne LGBT+, vengono presentate la democratizzazione e i movimenti per i diritti umani come politiche occidentali, non affini alla precedente ideologia. Come tradizione l’Armenia ha una venerazione verso i piccioni, questi animali vengono chiamati Ghush e il loro allevatore Ghushbase. I Ghushbase sono pronti a tutto per la sicurezza dei loro piccioni che vengono considerati sacri, portatori di pace e fertilità, dal valore inestimabile. Spesso trascurano il lavoro e gli amici pur di stare vicino ai loro beneamati. In Armenia avere un piccione vuol dire essere rispettati, ma amore, rispetto, valore e benessere non è esattamente ciò per cui la donna combatte da sempre in Armenia? Il video mostra una donna armena che, con la sua voce, combatte il rumore degli uccelli che minaccia di sovrastarla.

Videogrammi

Sara Davide
04’24” 2017/2020

 

Selected by Francesca Greco (presa Multipla, Milano)

Una dilatazione del tempo fotografico: una serie di riprese con fotocamera fissa si susseguono catturando frammenti di vita quotidiana, dove il passare del tempo si disgrega rendendosi impercettibile. Il suono prelevato dalla realtà conserva una natura illusoria che si sovrappone all’immagine generando ulteriore ambiguità. La visione onirica suggerita racconta un viaggio enigmatico, interpretabile nuovamente dagli occhi di chi guarda, una narrazione inconscia impregnata di memoria. I video-immagine realizzati con l’ausilio di un telefono cellulare, si pongono come un diario visivo in netto contrasto alla velocità di rappresentazione fornita dal mezzo. Videogrammi si sofferma sul significato di attenzione e osservazione, azioni capaci di far emergere anche ciò che è invisibile.

Una dilatazione del tempo fotografico: una serie di riprese con fotocamera fissa si susseguono catturando frammenti di vita quotidiana, dove il passare del tempo si disgrega rendendosi impercettibile. Il suono prelevato dalla realtà conserva una natura illusoria che si sovrappone all’immagine generando ulteriore ambiguità. La visione onirica suggerita racconta un viaggio enigmatico, interpretabile nuovamente dagli occhi di chi guarda, una narrazione inconscia impregnata di memoria. I video-immagine realizzati con l’ausilio di un telefono cellulare, si pongono come un diario visivo in netto contrasto alla velocità di rappresentazione fornita dal mezzo. Videogrammi si sofferma sul significato di attenzione e osservazione, azioni capaci di far emergere anche ciò che è invisibile.

Sei cubi di legno, tre nidi, tre cavalli

Anna Vezzosi
03’49” 2019

 

Selected by Francesca Greco (presa Multipla, Milano)

«Ieri sera son stato nel regno delle ombre. Se solo sapeste quanto è strano essere là. È un mondo silenzioso, senza colore. Tutto: la terra, gli alberi, la gente, l’acqua e l’aria, tutto appare di un grigio monotono. I raggi grigi del sole attraversano il cielo grigio, gli occhi sono grigi nei volti grigi e grigie sono anche le foglie degli alberi. Non è la vita, ma la sua ombra, non è il movimento, ma il suo spettro muto». Queste sono le parole con cui lo scrittore Maksim Gor’kij descrisse una delle prime proiezioni cinematografiche in Russia nel 1896, pochi mesi dopo la prima presentazione pubblica dei fratelli Lumiére.

«Ieri sera son stato nel regno delle ombre. Se solo sapeste quanto è strano essere là. È un mondo silenzioso, senza colore. Tutto: la terra, gli alberi, la gente, l’acqua e l’aria, tutto appare di un grigio monotono. I raggi grigi del sole attraversano il cielo grigio, gli occhi sono grigi nei volti grigi e grigie sono anche le foglie degli alberi. Non è la vita, ma la sua ombra, non è il movimento, ma il suo spettro muto». Queste sono le parole con cui lo scrittore Maksim Gor’kij descrisse una delle prime proiezioni cinematografiche in Russia nel 1896, pochi mesi dopo la prima presentazione pubblica dei fratelli Lumiére.

Align Properties

Alice Bucknell
12’03” 2020

 

Selected by Virginia Bianchi (Virginia Bianchi Gallery, Bologna)

Align Properties (2020) dell’artista americana Alice Bucknell, è un video essay in due parti che esplora l’interconnessione tra wellness capitalism, spiritualità new age e big data in tempi di crisi. Prendendo come punto di partenza Align, un’app di incontri ormai fallita che basava il proprio algoritmo su segni zodiacali, Align Properties ne immagina la rinascita come nuovo business immobiliare con base in Inghilterra e rivolto a millennial in cerca di una vita di lusso in sintonia con l’astrologia. Immaginando una comunità utopica basata sui principi dell’astrologia pop, facilitata da Internet e social media, Alice Bucknell realizza la prima parte del video ispirandosi alle strategie di marketing di sviluppatori immobiliari già esistenti a Londra. La seconda parte di Align Properties è un saggio visivo che esplora l’astrologia pop e come questa sia al centro dello sviluppo degli algoritmi e dei big data su cui si basano alcune app di incontri. Attraverso un’aspra critica del tema, Alice Bucknell intende sottolineare quanto sia semplice riuscire ad alterare le relazioni tra gli utenti che utilizzano queste app.

Align Properties (2020) dell’artista americana Alice Bucknell, è un video essay in due parti che esplora l’interconnessione tra wellness capitalism, spiritualità new age e big data in tempi di crisi. Prendendo come punto di partenza Align, un’app di incontri ormai fallita che basava il proprio algoritmo su segni zodiacali, Align Properties ne immagina la rinascita come nuovo business immobiliare con base in Inghilterra e rivolto a millennial in cerca di una vita di lusso in sintonia con l’astrologia. Immaginando una comunità utopica basata sui principi dell’astrologia pop, facilitata da Internet e social media, Alice Bucknell realizza la prima parte del video ispirandosi alle strategie di marketing di sviluppatori immobiliari già esistenti a Londra. La seconda parte di Align Properties è un saggio visivo che esplora l’astrologia pop e come questa sia al centro dello sviluppo degli algoritmi e dei big data su cui si basano alcune app di incontri. Attraverso un’aspra critica del tema, Alice Bucknell intende sottolineare quanto sia semplice riuscire ad alterare le relazioni tra gli utenti che utilizzano queste app.

Royal Fate is Fluid

Léa Porré
08’31” 2020

 

Selected by Virginia Bianchi (Virginia Bianchi Gallery, Bologna)

Royal Fate is Fluid (2020) dell’artista Léa Porré (Francia, 1996), è una bizzarra narrazione storica che segue il viaggio della testa di Re Luigi XVI, decapitato nel 1793, verso una rigenerazione attraverso l’Oceano Atlantico. Incontrerà misteriose creature che la nutriranno e si prenderanno cura di lei, fino a che non naufragherà su una futuristica isola delle Bahamas, dove verrà accolta come una vera e propria divinità. Attraverso maxi-schermi e nuove tecnologie, inizierà un percorso molto diverso da quello che ci si sarebbe mai immaginato attraverso un mix improbabile di storia, videogiochi e spiritualismo New Age.

Royal Fate is Fluid (2020) dell’artista Léa Porré (Francia, 1996), è una bizzarra narrazione storica che segue il viaggio della testa di Re Luigi XVI, decapitato nel 1793, verso una rigenerazione attraverso l’Oceano Atlantico. Incontrerà misteriose creature che la nutriranno e si prenderanno cura di lei, fino a che non naufragherà su una futuristica isola delle Bahamas, dove verrà accolta come una vera e propria divinità. Attraverso maxi-schermi e nuove tecnologie, inizierà un percorso molto diverso da quello che ci si sarebbe mai immaginato attraverso un mix improbabile di storia, videogiochi e spiritualismo New Age.

Spirit Corp.

Sian Fan
02’33” 2019

 

Selected by Virginia Bianchi (Virginia Bianchi Gallery, Bologna)

Realizzato nel 2019, Spirit Corp. dell’artista inglese Sian Fan (Regno Unito, 1991) è un’oscura esplorazione della fissazione umana con la tecnologia: in un futuro oscuro e distopico, l’artista si ritrova riprodotta in una dimensione intermedia tra realtà e digitale, come ricodificata in un’entità virtuale all’interno del cyberspazio. Esplorando la propria nuova forma, si ritrova a lottare contro un liquido scuro come inchiostro, che finisce per assorbirla nelle proprie profondità. Una lotta metaforica tra le sue due forme, digitale e umana, che si dimostrano essere incompatibili. Spirit Corp. è stato commissionato dalla BBC e creato con il supporto di Screen South e dell’Arts Council England. È andato in onda su BBC4 come parte di Get Animated ospitato da Ali Plumb.

Realizzato nel 2019, Spirit Corp. dell’artista inglese Sian Fan (Regno Unito, 1991) è un’oscura esplorazione della fissazione umana con la tecnologia: in un futuro oscuro e distopico, l’artista si ritrova riprodotta in una dimensione intermedia tra realtà e digitale, come ricodificata in un’entità virtuale all’interno del cyberspazio. Esplorando la propria nuova forma, si ritrova a lottare contro un liquido scuro come inchiostro, che finisce per assorbirla nelle proprie profondità. Una lotta metaforica tra le sue due forme, digitale e umana, che si dimostrano essere incompatibili. Spirit Corp. è stato commissionato dalla BBC e creato con il supporto di Screen South e dell’Arts Council England. È andato in onda su BBC4 come parte di Get Animated ospitato da Ali Plumb.

4K Zen

Stine Deja
11’38” 2017

 

Selected by Virginia Bianchi (Virginia Bianchi Gallery, Bologna)

4K Zen (2017) è il video di Stine Deja (Danimarca, 1986), nel quale offre agli spettatori una fuga ironica ed onirica dallo stress giornaliero, verso uno stato mentale di sicurezza e rilassamento. Creato in risposta alla dimostrazione scientifica che, nel 21esimo secolo, si è più rilassati guardando la TV che dormendo, il video è parte centrale di un’installazione in cui i visitatori sono invitati a dimenticarsi delle proprie preoccupazioni e ricaricarsi fisicamente ed emotivamente tramite l’utilizzo di uno speciale cappello con schermo, che isola completamente dal mondo esterno. Grazie alla combinazione tra meditazione e pubblicità televisiva, 4K Zen sottolinea la nostra dipendenza dal mondo digitale come mezzo di fuga dalla complessità della vita moderna e dalle pressioni ambientali, sociali e politiche che ci tormentano, coinvolgendo attivamente lo spettatore e invitandolo ad abbandonarsi alle immagini rilassanti che compaiono sullo schermo, verso uno stato più riposante del sonno.

4K Zen (2017) è il video di Stine Deja (Danimarca, 1986), nel quale offre agli spettatori una fuga ironica ed onirica dallo stress giornaliero, verso uno stato mentale di sicurezza e rilassamento. Creato in risposta alla dimostrazione scientifica che, nel 21esimo secolo, si è più rilassati guardando la TV che dormendo, il video è parte centrale di un’installazione in cui i visitatori sono invitati a dimenticarsi delle proprie preoccupazioni e ricaricarsi fisicamente ed emotivamente tramite l’utilizzo di uno speciale cappello con schermo, che isola completamente dal mondo esterno. Grazie alla combinazione tra meditazione e pubblicità televisiva, 4K Zen sottolinea la nostra dipendenza dal mondo digitale come mezzo di fuga dalla complessità della vita moderna e dalle pressioni ambientali, sociali e politiche che ci tormentano, coinvolgendo attivamente lo spettatore e invitandolo ad abbandonarsi alle immagini rilassanti che compaiono sullo schermo, verso uno stato più riposante del sonno.

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